Il diritto di ritirarsi, ma non di bloccare la gara

Alle Tre valli il ciclismo ha intrapreso una strada molto pericolosa. Nessuno vieta ad un ciclista di ritirarsi se crede che le condizioni meteo lo mettano in pericolo, ma nessuno può arrogarsi il diritto di farlo per altri. Le gare ciclistiche hanno doppiato i 100 anni e mai si erano visti ciclisti caricati sui torpedoni, tappe annullate o decimate, capipopolo che bloccano la gara. E non parliamo solo dell’era epica del ciclismo, ma anche di tempi recenti, tipo Berzin al giro. Al limite se c’era pericolo il direttore di gara si piazzava davanti al gruppo e si scendeva a 20 all’ora. Va bene la neve diventa un fondo impossibile per l’equilibrio, ma non lo era anche in passato? Ma la pioggia è una novità. Le donne hanno finito senza drammi la gara. Se i principi non volevano rischiare in vista del Lombardia potevano fermarsi e andare al loro Home, ma non arrogarsi il diritto di fermare gli altri. Sei un ciclista professionista, se non volevi bagnarti o rischiare di cadere facevi un altro lavoro. Nelle gare amatoriali poveri cristi, pagano per parteciparvi e a migliaia sfidano qualsiasi meteo. Questo precedente se viene, come sembra, accettato con un sorriso compiacente e non punito significa che spettatori, che magari hanno preso un giorno di ferie per essere li, televisioni, sponsor, organizzatori, ecc. Dovranno fare la danza della non pioggia altrimenti a metà gara si ritrovano un gruppo di ciclisti che si avvia alle docce. Soprattutto se la gara è una di quelle che non contano per i principi e anzi oltre a farci l’elemosina di partirvi, visto mai che la bloccano pure. Ho avuto la fortuna di osservare Merckx, Gimondi, ma anche Saronni, Moser e soci che davano l’anima per voicere la tre valli, come la davano per vincere i circuitini a pagamento. Forse loro il pane se lo dovevano sudare, oggi i milioni piovono e sono pioggia da cui se ne guardano bene dal dire sono troppi rifiutiamoli. Dicono per la sicurezza, fino agli anni ottanta si correva senza casco, senza freni a disco, senza dieci ammiraglie, senza home, senza preparatori ipertecnologici eppure non mi risulta che ci siano state più vittime o drammi di oggi. Certo quando correvano nell’epoca epica su strade non asfaltate, senza ripari e senza medici al seguiito se ne schiattavano a bizeffe, ma dagli anni sessanta in avanti il numero dei ciclisti che, dolorosametne, sono stati vittime di gravi incidenti gravi è uguale all’attuale. La federezione deve punire chi ha fermato la corsa, anche se sono dei fenomeni, altrimenti inizia la fine del gioco. Certo lo so benissimo, nel mio piccolo ho corso anch’io, il ciclismo è lo sport più duro in assoluto e me ne guardo bene dal non rispettare la fatica anche dei fuoriclasse. Ma loro devono rispettare i milioni di appassionati che da sempre sanno che oltre alla fatica ti devi beccare anche i rischi e i malanni che fanno di questo sport lo sport più umano e mitico che ci sia. E se non vuoi bagnarti e rischiare, ma vuoi lo stesso fare il ciclista, puoi ritirarti, ma mai fermare gli altri.

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